Fonte: Cittadini & Salute
A cura di: Angelo Nardi
Ambasciatore del Calcio nel mondo. Titolare dello stile italiano. Esempio di classe, misura, onestà e in contempo maestro nell'animare polemiche su principi dai quali non recedere mai: l’equità come condizione per misurarsi.
Capire dove sei e fare la cosa giusta. Il messaggio arriva dall'"Abatino", soprannome inflitto dallo scrittore Gianni Brera ai tempi in cui Gianni Rivera con il Milan aprì le porte dell'Europa in un'Italia ancora provinciale e piena di complessi di inferiorità.
Intervenuto all'apertura del Festival del Racconto Sportivo il 27 maggio a Guidonia organizzato dall’assessore Andrea Di Palma ha invitato tutti a pensare al presente dribblando le domande, le curiosità sugli anni Sessanta e Settanta in cui fu concepito il suo mito: "Siate contemporanei dei vostri tempi. Non credo che rileggere gli episodi che mi videro protagonista aiuti in qualche modo a capire o leggere meglio gli accadimenti. La storia non si ripete. La storia non insegna.
La storia si racconta per il piacere di essere ascoltata. Meglio parlare dei Mondiali alle porte di come lo sport potrebbe essere più rispondente ai diritto per ciascuno e meno consacrazione di un mito".
Gianni Rivera, quale etica può trasmettere lo sportivo come persona se in campo subisce la metamorfosi datagli dall'agonismo? Non credo ci sia nessuna metamorfosi in chi gioca. L'atleta e la persona sono la stessa cosa. Non mi abbandonerei in dualismi per salvare l'anima. Chi è in campo esprime sé stesso sempre come impulsi, fantasia, istinto, razionalità, voglia di aiutare gli altri. E soprattutto come capacità di capire qual è la cosa migliore da fare per andare in goal.
Quindi Totti che falcia Balotelli esprime la sua persona ed è quindi un modello diseducativo? Mi limiterei a dire che il fallo da tergo di Totti ci insegna che bisogna temperare i nostri impulsi. Se anche un campione si abbandona a questi eccessi vuol dire che che l'intolleranza è in noi, tra noi. Quindi dobbiamo bandirla.
In uno sportivo però c’è anche un rapporto con sé stesso, attraverso le proprie prestazioni. Qual è il rapporto più equilibrato che si può sostenere? C’è stata nella sua carriera una sfida col suo corpo? Qual è stata la sua sfida tra le possibilità del suo fisico? Qui dovremmo dividere tra sportivi e sportivi. Molti sport come la corsa e il calcio sono talmente diversi tra loro che forse non dovrebbero chiamarsi sport entrambe allo stesso modo. Nel calcio il rapporto è con il pallone, i compagni, gli avversari, le condizioni generali, a volte anche l’arbitro. Tutto questo deve scaturire sempre nella cosa giusta da fare, in come ti muovi e fai muovere i compagni di gioco. In sport come la corsa il rapporto è con te stesso e con i tuoi limiti. Da una parte più facile dall’altra terribile perché il cronometro non dà possibilità di replica.
Nella sua esperienza di sportivo, quali erano i rapporti con i suoi limiti? Francamente i limiti fisici non erano il problema. Dopo una partita, certo, mi sentivo stanco, ma ero pronto ad iniziarne un’altra se ce ne fosse stato bisogno. Questo perché non ci stancavamo mai di trovare in quella sfera la condizione migliore per il suo ottimale controllo.
Quando questa avventura è finita? Come tutti ho avuto una fase di sbandamento. Abituati, i calciatori in genere, a inseguire un pallone e farsi determinare da questo, veniva a mancare un punto di riferimento insostituibile. Come tutte le fasi di passaggio implica una sofferenza, ma sono fasi, fatte per essere superate.
Dopo tanti anni come vive il fatto di essere stato raccontato così tante volte? Quel divo che segna l’ultimo goal leggendario contro la Germania in quali rapporti è con la persona Gianni Rivera oggi? Ho rifiutato subito l’idea di passare la seconda fase della mia vita a raccontare la prima. Sono stato dirigente, poi sono entrato in politica riuscendo a far parte di una compagine governativa. Il futuro è aperto e sono attento a ogni nuova prospettiva.
Sì, ma Gianni Rivera è quella persona che in quelle circostanze fece quelle precise imprese. Come si rapporta al Gianni Rivera consegnato alla Storia? Mi rendo conto che fu un successo importante ed è stata una fortuna per me esserci, in quella situazione, in quelle condizioni. Ci fossero stati altri avrebbero forse fatto anche di meglio, non lo so. Ma sta il fatto che quel pezzo di storia ha rapito la coscienza degli italiani e almeno su questa sono fiero che nessuno discuta. Detto questo bisogna andare avanti. È come la capacità di alzarsi da tavola con un po’ di appetito.
Cosa consiglierebbe a un giovane che si prepara a dare il suo meglio nel mondo del lavoro come dello sport? Concentrandosi. Ma guardando bene anche cosa succede intorno. Capire cosa vuole da te chi ti sta accanto. Entrando nelle caratteristiche dei tuoi avversari cogliendone i punti deboli. E poi, sapere quando in una situazione non vai più bene. Scendere dal proscenio prima che spengano le luci, altrimenti rischi di fare un capitombolo.
Storia di un campione
“Golden boy”. “Abatino”. Sono i nomi con i quali Gianni Rivera, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi è stato battezzato dalla critica. Ha vinto tre scudetti, due coppe dei campioni, una coppa intercontinentale, due coppe delle coppe. Con la nazionale italiana il secondo posto nel Mondiale del Messico disputato nel ’70 in cui nella finale gli azzurri capitolarono con il Brasile. Terminata la carriera calcistica nel ’79, Rivera è stato vicepresidente del Milan fino all’86, quando è arrivato il nuovo presidente Silvio Berlusconi. Da allora si impegna in politica con la Dc, fino al ’94.
Successivamente al Patto Segni e poi a Rinnovamento Italiano.
Diventa deputato, segretario alla Difesa nel quinquennio del Centrosinistra con presidente Prodi, D'Alema, Amato - in alternanza.
In questa fase passa da Rinnovamento italiano ai Democratici di Prodi, quindi nella Margherita. Deputato al Parlamento europeo per il partito Uniti per l’Ulivo nell’aprile 2005.
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