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Home » News » Teatro - Lieve come un sospiro.

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Il Comune di Guidonia Montecelio presenta la Compagnia del Cinabro Rosso in "LIEVE COME UN SOSPIRO" di Marco Mori e Maura Ragazzoni Regia di Marco Mori in memoria di Alessandro.

Gerard Mario Fedeli
Anne Maura Ragazzoni
Oste Salvatore Casertano
Infermiera Simona Minorenti
Medico, Clochard, André Andrea Di Giovannantonio
Arienne, Cameriera Arianna Fioravanti
Bambina, Delphine Serena Lombardi
Pierrot Samanta D’Antonio
Bambino Daniele Fedeli
al pianoforte Diego Calcagno

15 e 16 GIUGNO ORE 21,00
Teatro Comunale Dario Vittori di Montecelio
Via Cardinale Antonelli snc, Montecelio (Roma)


Info:teatrargo@yahoo.it

Ingresso gratuito - prenotazioni cell. 3337691388

Gérard Philipe
«Sembrava un angelo che tentava avidamente, ferocemente di divenire un uomo» così l’attrice Maria Casarès definisce Gérard Philipe. Indimenticabile il suo rimanere in bilico tra il cielo e la terra, tra ciò che è etereo e ciò che è materico, il suo sguardo tenero e insofferente, perennemente nostalgico, il suo volto angoloso, controverso, il suo personale ed elegante modo di gesticolare, ricco di pose.
Immortalato nel rivoluzionario ruolo di François ne Il diavolo in corpo, un film di Claude Autant-Lara del 1947, incarna una gioventù ribelle, inquieta e fragile. Seppur giovane, presenta sin dagli esordi un grande talento e una sensibilità straordinaria. Alterna teatro e cinema vestendo ruoli diversi, spesso in sintonia con la sua «stanca fanciullezza», ma indossa anche i panni di personaggi vivaci come nel film Fanfan la Tulipe (1950). Muore a soli 37 anni, nel novembre del 1959, all’apice della sua carriera lasciando un grande vuoto.

Note di regia
«Niente possiamo chiamare nostro se non la morte» con le parole shakespeariane di Riccardo II Gerard Philipe si insinua nei recessi della mente di Anne, la sua appassionata sposa, una mente prima salda, irremovibile che ora si perde nell’oblio del dolore. Abituata a non tradire le proprie emozioni, Anne si scontra con il grido della sua anima, sola, smarrita in un mondo ancora dannatamente pregno di ricordi. Si trova senza più difese e elabora il lutto attraverso un continuo tuffarsi nella memoria e riemergere nel gelido e inaccettabile presente.
Le immagini scorrono in un’altalenarsi di tempi e luoghi, di presente e passato, di ciò che è vivo e di ciò che non lo è. Il limite tra l’apparizione e la realtà è poco visibile, confusamente delineato, come fosse un landmark valicabile e al tempo stesso inaccessibile. Si è catapultati su «una spiaggia deserta e buia, un limbo tra incubo e veglia».
Un tenero quanto diabolico gioco alterna un Gerard all’apice della sua carriera, affascinate, incantato dalla vita, curioso, giocoso e un altro sé stesso stanco, provato, sofferente che affronta coraggiosamente il valico, il passaggio in una dimensione ignota. Non c’è dualismo, scissione, ma un unico uomo che, con la stessa innocenza, si inoltra nella vita e nella morte attraversandole e facendosi attraversare.
Ad affiancare i due protagonisti due figure: un grottesco ed esuberante Oste e una surreale Infermiera. Quasi fosse una voce antica al di fuori e al di sopra di tutto, l’Oste parla attraverso le parole del Qoelet. La dialettica tra il bene e il male, tra ciò che è vano e ciò che non lo è, il dilemma dell’esistenza tessono la struttura dell’intera piece.
La morte aleggia in ogni nostro pensiero, non si presenta soltanto sotto l’aspetto oscuro e tetro di una falce, ma ha mille volti, infinite variazioni. Può indossare qualsiasi abito, anche quello più consolatorio e benevolo e si può nascondere ovunque. La dama nera è «paziente e attenta, ci aspetta dietro un qualsiasi angolo».
Niente deve andare perduto, dobbiamo vivere solo l’attimo.

Marco Mori


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