Fonte: Est Area - Cittadini & Salute
L’Alzheimer è la forma più frequente di demenza degenerativa e rappresenta circa il 50-60% di tutte le forme di questa patologia. Dal punto di vista anatomopatologico, la malattia è caratterizzata dalla progressiva perdita di neuroni della corteccia cerebrale e dalla formazione di placche amiloidi e aggregati neurofibrillari intraneuronali. La malattia colpisce le aree del cervello che controllano l’ideazione e la memoria nella loro capacità di comunicare tra loro per elaborare le diverse informazioni. Si manifesta in modo subdolo, generalmente con piccoli disturbi di memoria che, nel corso degli anni, lentamente ma costantemente peggiorano fino a rendere la persona completamente dipendente dagli altri anche per lo svolgimento delle semplici azioni quotidiane quali mangiare, vestirsi, lavarsi, camminare.
L’Alzheimer colpisce più frequentemente dopo i 45 anni e prevalentemente le donne. Ciò sembrava maggiormente attribuibile alla più elevata durata media della vita; recentemente, invece, è stato identificato un fattore di rischio genetico femminile. Secondo uno studio condotto al Mayo Clinic College of Medicine di Jacksonville (Florida - Stati Uniti) e pubblicato da Nature Genetics (gennaio 2009), l’aumento del rischio femminile di sviluppare la malattia di Alzheimer sarebbe appunto associato ad una variante di un gene localizzato sul cromosoma X. Oltre all’età ed al sesso femminile, altri fattori di rischio non modificabili sono la familiarità, un particolare assetto di una proteina (APOE) e la trisomia 21 (S. di Down). Oggi, nel mondo, si stimano 25 milioni di malati di Alzheimer, con 4,6 milioni di nuovi casi l’anno e una nuova diagnosi ogni 7 secondi. In Italia i pazienti affetti da forme di demenza sono oltre 1.000.000 e di questi circa 600 mila pazienti con demenza di Alzheimer, probabilmente sottostimati e destinati a raddoppiare nei prossimi 5 anni.
Quali forme di Malattia di Alzheimer si conoscono?
In base all’età, viene distinta una forma ad esordio precoce o presenile se insorge prima dei 65 anni (25% dei casi) ed una forma ad esordio tardivo o senile quando si manifesta dopo i 65 anni (75% dei casi). In base alla familiarità si può fare una prima importante distinzione fra le forme di Alzheimer sporadiche e quelle familiari. Le forme sporadiche (dove è colpito un solo membro della famiglia) sono la maggioranza dei casi, circa il 75%. Le forme familiari (dove sono colpiti più membri della stessa famiglia) sono circa il 25%.
Prime manifestazioni cliniche ed evoluzione della malattia
Nei primi anni di malattia (2-4) i disturbi sono a carico della memoria (amnesie) con difficoltà a trovare parole, a ritrovare oggetti comuni (chiavi di casa, portamonete, occhiali,ecc.), a ricordare eventi appena vissuti ed ad orientarsi su percorsi e ambienti familiari. Possono comparire, inoltre, cambiamenti emotivi, caratteriali e perdita di interesse per attività e cose apprezzate.
Con il progredire della malattia, il declino delle capacità intellettive è tale da interferire con le attività lavorative e provocare così una riduzione della autonomia; questa fase di malattia è la più variabile e può durare da 2 a 10 anni. In questa fase, nella quale si può già pensare di richiedere un’assistenza continuativa, anche se solo informale (personale non specializzato, ma specificamente formato), spesso compaiono disturbi del comportamento ed atteggiamenti irrazionalmente polemici, deliri e allucinazioni, perdita di interesse per la cura della propria persona; anche l’appetito comincia a modificarsi con oscillazioni in eccesso (iperfagia) o in difetto (inappetenza) e il sonno diventa meno regolare (insonnia, inversione del ritmo sonno – veglia, ecc.). Nella fase terminale (da 1 a 3 anni), la completa perdita della capacità di svolgere autonomamente i più semplici atti quali alimentarsi, vestirsi, lavarsi, ecc., rende necessaria un’assistenza h24. L’assistenza, a questo punto, gioca un ruolo fondamentale: quanto più sarà appropriata, tanto più permetterà di mantenere una buona qualità di vita, la cui durata dipenderà dall’insorgenza di malattie intercorrenti. Il malato, infatti, non muore di demenza ma, con la sua demenza, per malattie intercorrenti.
Tenuto conto dell’invecchiamento progressivo della popolazione, della durata della malattia e dell’elevata potenzialità invalidante, nonché delle gravi ricadute sui nuclei familiari e degli elevati costi socio-sanitari, si configura uno scenario socio-sanitario preoccupante, che richiederebbe interventi specifici e mirati. Si stima che il costo globale di un paziente demente (considerando la perdita delle capacità lavorative del soggetto, la rinuncia al lavoro del familiare che deve assisterlo, i costi per l’assistenza socio sanitaria) è mediamente di circa 60.000 euro/paziente/anno di malattia.
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